Ensiferum – “Dragonheads” (2006)

Artist: Ensiferum
Title: Dragonheads
Label: Spinefarm Records
Year: 2006
Genre: Folk Metal
Country: Finlandia

Tracklist:
1. “Dragonheads”
2. “Warrior’s Quest”
3. “Kalevala Melody”
4. “White Storm”
5. “Into Hiding”
6. “Finnish Medley”

Non si può nemmeno iniziare a parlare di un simile EP, sia per la sua natura che per ciò che in retrospettiva ha rappresentato e soprattutto oggi rappresenta per la band, senza prima accingersi a tratteggiare, anche solo sommariamente, l’autentica odissea di line-up che attraversano gli Ensiferum e che ne sconvolge irrimediabilmente le fondamenta prima della sua gestazione, e riprendere con ciò la portata degli eventi che proprio ad essa conducono in un filo diretto che, nel periodo che intercorre tra il 2004 ed il 2006, segna un inaspettato ciclo di cambiamenti, consolidamento ed evoluzione.

Il logo della band

Il gruppo di Helsinki guidato da Markus Toivonen ed ancora accompagnato dalla tastierista Meiju Enho, appena due anni prima della pubblicazione dello spartiacque “Dragonheads”, sembra infatti destinato ad uno scioglimento inevitabile per via di uno stravolgimento di equilibri interni fin troppo grande tradottosi nell’abbandono da parte di ben tre quinti di quella band che, tra gli Sweet Silence di Copenhagen ed i Finnvox della sua città natale, compone, registra e produce l’ormai classico “Iron” durante la seconda metà del 2003: uno scisma irripetuto nella storia della formazione portatrice di spada in cui viene persa, insieme all’intera sezione ritmica, la carismatica ugola dell’allora frontman Jari Mäenpää (ancora oggi un elemento insostituibile per alcuni fan di vecchia data) dipartita imprevista di fronte alla scelta cruciale tra l’imbarcarsi verso la conquista di nuove coste nel primo breve tour europeo degli Ensiferum, organizzato per il supporto e la presentazione del secondo full-length, ed il dedicarsi altrimenti completamente al nascente progetto Wintersun che, proprio nel 2004, pubblica invece per Nuclear Blast Records il suo omonimo debutto.
Quella che sembra una band irrimediabilmente azzoppata proprio nel momento proprizio dell’ascesa finisce tuttavia per non perdersi d’animo seppure ridotta al cardine decisionale Toivonen, reclutando a tempo record nuovi musicisti fra cui la determinante figura del nuovo cantante e secondo chitarrista nei panni di Petri Lindroos, già membro fondatore dei Norther a quel punto autori dei loro primi due album “Dreams Of Endless War” e “Mirror Of Madness”. Con la nuova formazione, completata da Sami Hinkka al basso e da Janne Parviainen dei Barathrum alla batteria (una che si dimostrerà poi di solidità e stabilità enormi nel suo nucleo compositivo in oltre sedici anni di collaborazione), nonché rinvigorito dalla voglia di creare nuova musica sulle ali dei risultati conseguiti con i primi due già acclamati album e d’iniziare un nuovo corso, il quintetto si presenta prima al pubblico con un lungo concerto celebrativo dei primi dieci anni di carriera tenuto in casa (al Nosturi, locale cruciale nella capitale finlandese, per ciò che viene registrato nel DVD che uscirà un anno più tardi con il titolo “10th Anniversary Live”), come a voler segnare la fine di un’era a partire dalla data simbolica di capodanno del 2005, e procede registrando così il suo primo mini-album; uno dalla natura inevitabilmente transitoria, eppure altrettanto fondamentale per ciò che gli Ensiferum saranno e compieranno nei futuri lavori su full-length a partire da “Victory Songs” del 2007.

La band

Ma se unicamente di ciò si tratta, perché parlarne più a lungo? Perché, pur contenendo soltanto una canzone veramente inedita, ovvero la title-track che lo apre accompagnata dalla nuova registrazione di due vecchi pezzi originariamente contenuti nei demo rilasciati tra il 1997 ed il 1999, più una cover degli Amorphis ed una coppia di personali interpretazioni di pezzi Folk popolari finlandesi, è nel dispiegarsi dei suoi sei brani e della sua mezz’ora scarsa di durata che “Dragonheads” segna non solo un autentico punto di svolta interno per il gruppo, un fondamentale banco di prova in studio dopo quello sui palchi, ma nella varietà coesa e pienamente omogenea delle sue tracce ne rappresenta anche inevitabilmente, sotto svariati aspetti, ancora oggi il più importante ed irripetuto punto di raccordo stilistico e ponte tra i primi due album e quelli che saranno quindici anni di successivi sviluppi.
Proprio a partire dall’omonimo brano, che con la sua esclusività preservata all’uscita dell’EP lo rende di per sé e con la sua grande qualità complessiva ben più di un possibile maxi-singolo dell’epoca (differentemente da un “Tale Of Revenge” in anticipazione di “Iron” o da “One More Magic Potion” per il terzo disco in studio della band, come del resto da tradizione degli anni 2000 in casa Spinefarm Records), viene inaugurato infatti il nuovo corso poi inquadrabile nella figura di coppia d’asce ToivonenLindroos, che insieme al sodale Hinkka per la stesura di gran parte dei testi darà nei tre anni successivi alle stampe i due gioielli di Folk Metal alla loro unica maniera che rispondono ai titoli di “Victory Songs” e soprattutto “From Afar”: nell’apertura di “Dragonheads” troviamo infatti ben oltre quel che potrebbe essere un solo assaggio di quel che si sentirà nel prossimo futuro del gruppo (la stessa “Blood Is The Price Of Glory” che aprirà il primo full del rinnovato gruppo un anno più tardi, nella vicinanza delle tastiere), bensì una vera e propria parentesi ricca di sfumature, un inedito vero e proprio inno Viking Metal, musicalmente e liricamente; una navigata dal gusto epico sui drakkar che danno il nome a disco e brano, e che nel flirt della band con tale stile accompagna l’ascoltatore dalla Terra madre di Mille Laghi verso nuovi lidi d’esplorazione – mentale, geografica, metaforica e perfino letterale in ciò che vive il gruppo in quel momento.
Un’altra buona parte di future intuizioni viene poi messa in mostra proprio nelle ottime rivisitazioni (nell’estrema “White Storm”, a cui viene data una linfa melodica mai avuta sul finire degli anni ’90 rendendola qui uno dei più completi e bei brani mai pubblicati dalla band, così come nella splendida “Warrior’s Quest”), il cui valore tastieristico in special modo fa da imbarcazione che trasporta dalle partiture preminentemente d’archi ed ottoni sintetizzati così caratteristiche di “Iron” a tutta la variegatura che, già qui, si presenta come anticipazione dell’evoluzione tastieristiche e d’arrangiamento futura, compresa quella più magniloquente (con kantele, mandolini e strumenti acustici pizzicati o non) e sinfonica. A dispetto della sorta di sberleffo verso i vecchi componenti, della comprensibile rivendicazione di paternità di un mastermind e compositore, o la dichiarazione d’intenti evolutivi e di nuova scorza acquisita che i brani ri-registrati possono rappresentare oggi, una non eccessivamente stravolta “Into Hiding” degli Amorphis mostra tuttavia ancora una volta il potenziale del gruppo nel cambiare pelle (in un gioco intertestuale raffinato con parole d’altri) tramite la sua variegata palette d’influenze e d’approccio ribadite e svelate anche nella breve “Kalevala Melody” che la band userà come intermezzo suonato dal vivo nei suoi concerti fino al 2012 incluso – e che qui funge invece da commovente introduzione alla tirata più efferata del disco, con Lindroos che si cala fin da subito nella parte del nuovo screamer con tutta la personalità del suo tono aspro, la profondità del registro nell’interpretazione (si ascolti la prestazione nella stessa cover) ed il rispetto verso il suo predecessore intelligentemente allontanato senza tentativi d’imitazione, oltre alla propensione al folklore mitico ancor meglio evidenziata e sviluppata nella eloquente “Finnish Medley”: un tripudio di voci pulite e femminili che riprendono l’indimenticata “Tears” dal precedente capitolo e la portano oltre (rivedendola tramite l’approccio ritmico marziale dei Moonsorrow di “Kiventantaja” a cavallo tra “Matkan Lopussa ma soprattutto “Jumalten Kapunki”) verso quelle dei cori armonizzati che, come in ogni capitolo futuro del gruppo, saranno affidati al duo ToivonenHinkka o alle backing vocals di tutta la band; di certo differenti ai lanci in pulito nelle tonalità altissime di Mäenpää, ma che proprio nella loro diversità di carattere offrono il tipico senso di cinematografica epicità più grezza e compatta di cui sarà rappresentante la band nei suoi momenti più alti.

Proprio in ciò risiede tutto il valore di un disco di passaggio come “Dragonheads”, e di una band come gli Ensiferum nel 2006: la testimonianza di una passione inconfondibile che contraddistingue le sue note anche in una transizione, così come in quelle dei dischi a venire, delle sperimentazioni e commistioni in suono che l’hanno resa un baluardo nel Folk Metal e nel Metal estremo intriso di musica popolare e medievale più in generale, e soprattutto della propensione a non arrendersi di fronte alle avversità; anche quelle che, come accade appena prima della pubblicazione del suo capitolo segnalibro, quello più spartiacque di tutti, piombano nefaste proprio al momento possibilmente irripetibile del salto verso il successo commerciale. Similmente a quel che avviene contemporaneamente nella storia dei concittadini Finntroll, gli Ensiferum di ciò faranno tesoro e motivo di sprono per rilasciare nel giro di un anno soltanto un altro punto fermo ed irrinunciabile della propria discografia, facendo un ulteriore passo verso l’ascesa qualitativa che li porterà dritti ed irremovibili fino alla ricchezza di “From Afar” nel 2009.

Karl “Feanor” Bothvar

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